lunedì 4 novembre 2013

Un autobus chiamato desiderio



Piazzale Tecchio ore dieci. Un automobilista sfreccia incurante del senso vietato sulla sua utilitaria mezza sgangherata, un barbone parla da solo sdraiato nel gabbiotto della stazione degli autobus, mentre un bimbo piange perché un cane randagio gli ha appena leccato il gelato. La mamma non ha visto nulla e infastidita costringe il bimbetto a leccare il cono. Da un autobus rattoppato scende una flotta di gente di colore con in mano fagotti e borse mentre un pensionato con il giornale in mano osserva la scena e ripete: “Ma che cazzo vengòn a fa' ca’” cercando il consenso di un vecchietto che invece è intento a guardare due polacche che parlano senza sosta con i loro cellulari e ricambiano lo sguardo facendo l’occhiolino all’anziano che arrossisce vistosamente. Il suo coetaneo ripete ad alta voce: “Io vorrei capire con chi cazzo parlano di continuo e chi paga ste telefonate”. Gente alla fermata del bus aspetta sbuffando e imprecando contro il governo ladro mentre i dipendenti dell’azienda dei trasporti sono impegnati in lunghi discorsi sullo sport bevendo il centesimo caffè al bar dei giardinetti. Due poliziotti fermano un punkabbestia che si è sdraiato sulle scale mentre il cane torna a leccare il gelato del bimbetto mentre la madre si perde in una vetrina che ha messo anzitempo i saldi. 

Una donna grassa sbraita e chiede a un addetto: “Scusate, ma quando passa il pullman per la zona flegrea”. L’uomo infastidito smette di parlare di sport e risponde: “Signora, l’azienda è in mobilità il bus sta là, ma parte forse alle dodici, se arriva l’autista”. La donna impreca ad alta voce ricevendo i consensi di una gentildonna del luogo che apostrofa in modo volgare l’autista: “Chi'o’ssape ca' sfaccìmm ha ra fa'” e poi si sventola accaldata con il suo ventaglio finto Venezia made in Taiwan. Una donna sulla sessantina non si arrende all’età che avanza e attraversa la strada indossando un tacco ventidue percorre giusto tre metri sulla linea zebrata poi cade a terra trascinando le buste della spesa. Immediatamente è soccorsa da un giovane, mentre una donna della stessa età avvolta in un paio di Leggings taglia quarantadue a mo’ di salsiccia commenta: “Vogliòn fa' e' ragazzìn si mettòn e’ tacchì". "Ma ca' deve fa' deve i' a ballarè" ? Suscitando l’ilarità degli astanti, mentre l’anziano con il giornale sbraita: “Ha parlat’ a pin- up”. Arriva finalmente l’autista che sale sul bus accompagnato da un’ovazione da stadio. 

La gente comincia a salire mentre l’uomo mette in moto il mezzo del dopoguerra riuscendoci solo dopo il terzo tentativo. Una fitta nube nera fuoriesce dalla marmitta del mezzo e avvolge gli astanti mentre le due polacche si allontanano con il vecchiarello visibilmente soddisfatto della nuova conquista. L’uomo con il giornale non fa commenti, ma dietro gli occhiali poggiati cascanti sul naso ammicca vistosamente scuotendo il capo. Si parte finalmente dopo due ore di attesa giusto tre metri e il mezzo s’imbottiglia nel traffico metropolitano ancora attesa mentre un controllore sale e chiede il biglietto, si fa largo tra la folla infastidita che mostra il tagliando di viaggio, ma qualcuno nel silenzio continua a sbraitare dietro un giornale: “Azz vuolè purè o' biglièt chist”. Il bimbo decide di dare tutto il cono al cane. La mamma si gira e lo sgrida mentre il bastardino s’infratta nella fitta savana dei giardinetti comunali, si accuccia e finisce il suo pasto mimetizzato come Rambo. Alla fermata arriva altra gente mentre un bus di linea viene trinato a fatica da un altro mezzo con la scritta deposito. Altro giro altra corsa, riprende la giostra metropolitana: solite imprecazioni, soliti problemi avvolti da una macabra ironia. Non prendevo un pullman da qualche tempo, ma il bilancio della mia giornata è stato disastroso. 

Sveglia alle sette ho vestito mia figlia di un anno che dopo poco si gira e mi guarda dicendo: “Cacchi” Ero già sull’uscio di casa pronto per uscire ma la puzza nauseante mi costringe alla marcia indietro. La rispoglio, la lavo e la rivesto scendo la porto da mia suocera e scatto verso la metropoli con la mia autovettura. Arrivo dal meccanico lascio la macchina per un controllo e poi mi dirigo all’ufficio postale di Furoigrotta, dove perdo esattamente sessanta minuti perché un anziano ha messo la tessera dell’autobus nel bancomat ed ha in concreto mandato in tilt l’intero ufficio. Prelevo dei contanti, poi vado alla fermata del bus per tornare a casa. Sono tornato nella mia abitazione a Pozzuoli alle dodici e trenta. Ma che cazzo!

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